"Sospensione
della democrazia". Ecco l'espressione sovente utilizzata dai media per
descrivere il governo tecnico, che, nell’emergenza e nelle circostanze particolari
della crisi, dovrebbe avere come primo obiettivo quello di risanare la
situazione di un paese, l'Italia, che ha lungamente vissuto al di sopra dei
propri mezzi, causa la miopia dei partiti e la resistenza degli interessi
corporativi della classe politica dell'ultimo ventennio.
Doveroso
dirlo, tuttavia: si fa un gran parlare di democrazia.
Tutti
la invocano, a ragione o a sproposito, molti ne discutono, qualcuno vi vede
ancora l'ideale greco di "massima forma espressiva della volontà popolare".
Nessuno, però, è capace di garantirla.
Qualunque
sia la futura prospettiva politica italiana, infatti, il paese sarà
inevitabilmente condotto ad uno "spegnimento" della forma politica
della democrazia rappresentativa, il che in breve tempo farebbe del paese,
secondo molti analisti, uno stato istituzionalmente totalitario.
Prospettive
da tener presenti saranno un potenziale crescente stato di polizia fiscale,
introdotto dal centrodestra, proseguito col centrosinistra e accentuato dal
governo dei tecnici; un nuovo governo Berlusconi, con la conseguente
inadeguatezza a rappresentare gli interessi del ceto medio e l'incapacità di
fare riforme; un "Monti-bis", secondo alcuni ingegnoso modo di
aggirare l'esito delle elezioni, comunque esse vadano, poiché sono in molti a
temere di perdere, sia a vantaggio di un esito populista, sia a causa di una
riproposizione del massiccio astensionismo già verificatosi in Sicilia.
Ma
c'è davvero bisogno di riproporre il cosiddetto "governo dei
professori", per varare riforme degne di questo nome e risollevare le
sorti dell'Italia?
Non
è semplice dare una risposta soddisfacente, anche in virtù delle situazione
critica in cui ancora versa il nostro paese, fatto sta che lo scenario di un
nuovo governo Monti contraddirebbe anche il carattere temporaneo che dovrebbe
avere l'organo tecnico voluto ed ideato dal presidente della Repubblica per far
fronte alla crisi dei debiti sovrani.
"Transfer of
sovereignty", in italiano "cessione della sovranità" a cura di Vignoli Giancarlo
Sarebbe
questa, secondo molti analisti stranieri e nostrani, l'unica soluzione tale da
consentire un rilancio dell'Italia come potenza economica di primo piano, sia a
livello europeo che mondiale, servendosi semplicemente di quanto messo a
disposizione dall'Unione Europea.
A
tutt'oggi, infatti, dare una definizione di tale organismo come semplice
"integrazione di stati", appare alquanto riduttivo, in quanto esso,
sin dall'inizio, si presentò come un unicum, un caso talmente complesso e
particolare, da non poter essere compreso in nessuno dei modelli di
integrazione esistenti. Purtroppo, però, questo ente, per quanto sui generis,
non è sufficiente, visto il periodo critico dei mercati e delle economie
mondiali, a garantire stabilità finanziaria ed economica ai suoi stati membri,
se questi non si dimostrano disponibili a cedere una parte rilevante della
propria autorità.
Il
processo in questione, tuttavia, va ben oltre il semplice principio di sussidiarietà,
contemplato nei trattati, senza dimenticare che la maggior parte delle
competenze cedute alle istituzioni dell'Unione, essendo irrevocabili, sono
divenute parte propria dell’ente sovranazionale.
E’
chiaro, quindi, che l’ordinamento di un’organizzazione internazionale classica,
che riconosce la piena sovranità dello Stato membro, verrà inevitabilmente
meno.
Ma è
altresì evidente che, se l’esigenza ineludibile è quella di avviare un percorso
che porterà i paesi dell’Eurozona al trasferimento della sovranità, perché solo
in questa prospettiva hanno senso sia gli interventi in campo finanziario, come
la creazione della cosiddetta "Unione Bancaria" o gli Euro-Bills, sia
quelli in campo economico, come il "Patto per la crescita in Europa"
elaborato dalla Francia, l'Italia dovrà forzatamente adeguarsi a questo
processo, anche se, escludendo l'intervento di Napolitano nei primi giorni di
ottobre, il tema tanto temuto della cessione del potere non è stato mai
affrontato, in modo serio e concreto, all'interno di una discussione
parlamentare.
Il
tema, infatti, è molto complesso: cedere ad un organo sovranazionale una parte
rilevante della propria autorità, significa riconsiderare la propria concezione
di tutela dell'indipendenza politica, proprio come quello di salvaguardia delle
attività economiche. Ma, soprattutto, implica che la classe dirigente italiana
inizi ad occuparsi meno degli interessi particolari, di cui nell'ultimo
trentennio è divenuta il paladino, e si decida a guardare all'interesse generale
in modo più concreto di quanto abbia mai fatto finora.
Si riporta una piccola riflessione sulla nuova fenomenologia, tutta italiana, delle Agende, che si riscontra sul web e sulla carta stampata.
Cosa si cela dietro la barbarie semantica delle Agende?
E' da diversi mesi ormai che si parla di agende.
Eppure, è da un bel po di tempo che nessuno più le regala! Non si trovano dalle assicurazioni, dai barbieri, dagli alimentari e, a comprarle, è quasi un dilemma: ce ne sono di mille formati e di mille gusti.
Ma attenti a riempirle però!
Ora che sono divenute il Nuovo Credo Europeo c'è il serio rischio di contraffazione di chi detiene il brevetto e il diritto di copyright.
Ma cosa siano divenute nell'ambito politico, come forma assistita della comunicazione, nessuno se lo sarebbe mai immaginato.
C'era una volta il Comizio(da Comitium luogo pubblico della comunicazione nell'antica Roma), così dovrebbe, laconicamente, raccontare il povero elettore, facendo riferimento alla perdita del rapporto umano tra eletto-elettore.
Quest'ultimo, invece, deve raccapricciarsi per non aver "fatto" la Bocconi, o quantomeno studi di economia,. se l'assunto risulta essere, sempre, un equazione a varie incognite, ma di cui la costante è sempre la stessa: la quantità del prelievo fiscale. Sull'irpef o sull'iva, diretta-indiretta, la differenza è intangibile quando si mette mano al portafoglio.
Ci avevano abituato a tante forme di comunicazione. Ma mai avremmo pensato che il web fosse "l'estrema ratio" intellettiva della politica, impersonata da agende. Che il confronto e la dicotomia fossero alla base del consenso-non consenso, questo ci era stato inculcato, e come strumenti sicuri di democrazia.
Ma che cominciassero ad agitare le agende online non ce lo saremmo mai aspettato! Mai ci saremmo aspettati di essere considerati simili a contenitori di agende, dove queste ultime comunicano per enunciati e, si sa, gli enunciati sono ipotesi non pienamente suffragate dai risultati.